domenica 28 febbraio 2010

Il tuo volto, Signore, io cerco. (Salmo 26)




Il Signore è mia luce e mia salvezza.

Il Signore è mia luce e mia salvezza:
di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita:
di chi avrò paura?

Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me, rispondimi!
Il mio cuore ripete il tuo invito:
«Cercate il mio volto!».
Il tuo volto, Signore, io cerco.

Non nascondermi il tuo volto,
non respingere con ira il tuo servo.
Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi,
non abbandonarmi, Dio della mia salvezza.

Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte,
si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.

giovedì 25 febbraio 2010

Sanremo: Antonella Clerici è piaciuta.



Da "La Stampa" ho ricavato questa foto di Antonella Clerici che la ritrae alla sfilata di Elena Mirò in compagnia del padre della sua bimba. Ecco che cosa dichiara scherzando sui vestiti indossati a Sanremo:

"Non sono mai stata una taglia 42 - rivela senza sorprendere nessuno - e non metterò mai i jeans calati sui fianchi. Mi sento meglio con i vestiti di Elena Mirò. A Sanremo ho preteso io degli abiti esagerati per far sognare e che mettessero in evidenza il mio seno, per poterci scherzare e fare battute. Per essere più simpatica, insomma".

Credo che la Clerici sia piaciuta soprattutto alle donne che l' hanno vista come una di loro, con qualche problema di chili in più, stanche di vedere sullo schermo ragazze filiformi che si presentano come se fosse naturale essere così e, quando sono intervistate, dichiarano di mangiare normalmente.
Lei è stata molto simpatica con il suo chiedere "come sto?" e con la sua insicurezza sui tacchi vertiginosi.
Se l'è cavata bene anche l' ultima sera con quel terribile parapiglia. Io le dico "Brava"


lunedì 22 febbraio 2010

Grazie Signore

Una bella poesia - preghiera dal Blog di Franca.



                                               Immagine di franca: "Un raggio di luce"

Un giorno
un raggio di luce
illuminò il buio della mia vita.
Nithael il mio angelo mi aiuta
sta sempre al mio fianco.
Perdonami Signore
se ogni tanto mi smarrisco.
Ti prego Signore
illumina ancora la mia via
perché io possa
ancora vederti, amarti
e scacciare il buio dalla mia vita.
Un raggio di luce ancora
illumini la mia via
e la mia vita
Grazie Signore.


franca bassi

ceglieterrestre.splinder.com/

martedì 16 febbraio 2010

domenica 14 febbraio 2010

Un omaggio alla giornata di San Valentino

Una grande voce mai dimenticata.











giovedì 11 febbraio 2010

Una preghiera alla Vergine






SANTA MARIA, VERGINE DELLA NOTTE
(mons. Tonino Bello)

Santa Maria, Vergine della notte,
noi t'imploriamo di starci vicino
quando incombe il dolore,
irrompe la prova,
sibila il vento della disperazione,
e sovrastano sulla nostra esistenza
il cielo nero degli affanni,
o il freddo delle delusioni
o l'ala severa della morte.

Liberaci dai brividi delle tenebre.

Nell'ora del nostro calvario,
Tu, che hai sperimentato l'eclissi del sole,
stendi il tuo manto su di noi,
sicché, fasciati dal tuo respiro,
ci sia più sopportabile
la lunga attesa della libertà.

Alleggerisci con carezze di Madre
la sofferenza dei malati.

Riempi di presenze amiche e discrete
il tempo amaro di chi è solo.
Spegni i focolai di nostalgia
nel cuore dei naviganti,
e offri loro la spalla,
perché vi poggino il capo.

Preserva da ogni male i nostri cari
che faticano in terre lontane e conforta,
col baleno struggente degli occhi,
chi ha perso la fiducia nella vita.

Ripeti ancora oggi
la canzone del Magnificat,
e annuncia straripamenti di giustizia
a tutti gli oppressi della terra.

Non ci lasciare soli nella notte
a salmodiare le nostre paure.
Anzi, se nei momenti dell'oscurità
ti metterai vicino a noi
e ci sussurrerai che anche Tu,
Vergine dell'Avvento,
stai aspettando la luce,
le sorgenti del pianto
si disseccheranno sul nostro volto.

E sveglieremo insieme l'aurora.

Così sia.

martedì 9 febbraio 2010

Io che l’ho conosciuto vi dico: il Basaglia della Tv è credibile

I commenti di alcuni di voi al post precedente mi hanno fatto comprendere che l' argomento è importante non solo per me. Stamattina mi hanno colpito  le parole di Alessandro Meluzzi che conosco tramite i suoi interventi in TV  che sempre sono illuminanti e che propongo alla vostra riflessione.




È molto difficile descrivere un dolore che evolve perdendo di fissità.
La storia dei pazienti di Gorizia della fiction C’era una volta la città dei matti, di Marco Turco, poteva cadere nell’elegia, nell’agiografia o nel grottesco. Nonostante i rischi e qualche enfasi di troppo, il risultato scenico e narrativo mi pare accettabile, anche come ricostruzione di un ambiente in cui nell’Italia anni ’60 i dottori borghesi sono correttamente progressisti e gli infermieri sorveglianti un po’ fascisti.
Il manicomio era il contenitore cieco e sordo, indifferenziato e acritico, di realtà immensamente diverse tra loro che, una volta incapsulate in questa dimensione, le massifica, le annienta, le livella, attraverso l’oppressione del corpo.


Prima del 1968 nei manicomi ci stavano tutti: gli schizofrenici, i depressi, gli etilisti, i disabili, i malati mentali, come pure i semplici «sfigati». Il manicomio era una specie di carcere, si definiva con meccanismi giudiziari e soprattutto se ne poteva uscire solo con meccanismi paragiudiziari, poiché il medico che accertava la dimissione si assumeva personalmente la responsabilità di ciò che il «matto» avrebbe fatto una volta uscito. Questa è la ragione per cui, una volta entrato in manicomio, nessuno ne usciva più.
Questo aspetto emerge in maniera chiara, e secondo me non scontata, nella fiction trasmessa in questi giorni da Raiuno. Chi ha conosciuto come me il manicomio, ha visto che la descrizione non ha eccessi né di tinte né di orrori anche nei dettagli scenici delle forme di contenzione. Eppure il manicomio poteva diventare anche il luogo di una misteriosa, febbricitante poesia, luogo di tutto o di niente, luogo a volte anche accogliente, come nei romanzi di Tobino e delle sue Libere donne di Magliano.

Franco Basaglia invece, psichiatra rivoluzionario e intellettuale surrealista, fu uno dei padri dell’antipsichiatria, il promotore della famosa legge 180 che solo nel 1978 sancì la fine dell’istituzione manicomiale.

L’amore per l’uomo era certamente ciò in cui Franco Basaglia eccelleva. Un amore diffuso e indistinto che credo abbia pagato anche con la sua consunzione esistenziale e personale. La sua parabola emotiva è forse l’aspetto più interessante del film televisivo appena trasmesso. Convincente la recitazione del protagonista, che dà di Basaglia il ritratto di un dandy profetico piuttosto che di un rivoluzionario blindato. Anche l’affresco delle facce, compresa una Puccini sideralmente lontana da Rivombrosa, ricorda non solo le maschere lombrosiane delle stampe di Hogarth, bensì tanti sguardi che hanno abitato luoghi di dolori polverizzati. 
(SEGUE)




lunedì 8 febbraio 2010

Basaglia santo subito? Sarebbe una pazzia

La sua fu una utopia generosa costata troppo dolore. Prima di lui ci fu chi inventò una via saggia e dimenticata: i villaggi postmanicomiali





Ieri sera ho guardato parte del filmato televisivo. Dico "parte" perchè certe scene non riuscivo  a sopportarle e cambiavo canale. Ai tempi della chiusura dei manicomi ero troppo giovane per occuparmi del problema e, per fortuna, non ero direttamente coinvolta per cui non ho riflettuto allora sulla situazione.  Durante la mia vita di insegnante ho visto abolire anche le classi speciali e penso che questa sia stata veramente una buona cosa, anche se agli inizi procurò grandi difficoltà agli insegnanti che si vedevano introdurre in classe alunni con seri problemi e, allora, senza alcun aiuto.

Stamattina ho letto sul Giornale on line l' articolo di Marcello Veneziani che  propongo alla vostra riflessione.
Non ero assolutamente a conoscenza della esistenza di questo sacerdote del Sud che si occupò del problema molti anni prima.


Non è a Franco Basaglia che dovevate dedicare un commosso ricordo televisivo a proposito della città dei matti. Non è a lui e alla sua generosa utopia, costata tante tragedie fra i malati di mente e le loro famiglie, che andava dedicata una fiction celebrativa del servizio pubblico della Rai. Ma ad un dimenticato sacerdote del sud, meridionalista concreto, che edificò dal nulla grandiose Case della divina provvidenza per accogliere i malati di mente e poi pensò, vent’anni prima di Basaglia, alla necessità di superare la triste realtà dei manicomi. E studiò un progetto umano e realistico: il villaggio postmanicomiale.
Prima di raccontarvi di lui, vorrei dirvi qualcosa di Basaglia e del ciclone antimanicomiale che da lui prese piede. Ne parlo per esperienza diretta, non in veste di matto, come forse alcuni di voi sospettano, ma perché sono nato e cresciuto nella città dei pazzi, Bisceglie. Un centro che aveva nel suo cuore un grande manicomio, il più grande del sud e qualcuno - forse malato di megalomania - diceva addirittura d’Europa. Un manicomio, la Casa della divina provvidenza, che accoglieva migliaia di malati, dava lavoro a migliaia di infermieri e medici e aveva diramazioni a Foggia, Potenza, Palestrina e Guidonia. Beh, io ricordo la tragedia prodotta dalla legge 180, cosa volle dire il «liberi tutti» ordinato alla follìa; quali drammi scatenò, quanti abbandoni e solitudini, matti allo sbando, incapacità delle strutture ospedaliere di accogliere i dementi in crisi, tormenti delle famiglie che si trovarono a dover sopportare, spesso in condizioni di povertà e di ignoranza, l’arrivo del famigliare pazzo. Quanti dolori esplosero allora e non trovarono strutture pronte ad aiutarli; leggete Mario Tobino che ebbe analoghe esperienze in manicomio da medico. Sarebbe follìa idealizzare i manicomi, ce n’erano alcuni che erano veri lager. Nessuno rimpiange la segregazione della follìa, che fu un frutto perverso del razionalismo scientista, perché i manicomi sono figli dei lumi e della scienza positivista. Sappiamo quanti maltrattamenti e abusi, anche sessuali, quante specuazioni sulla pelle dei matti. Ma la loro abolizione, insieme all’assurda teoria che la malattia mentale non esiste, ma è frutto dei rapporti di classe e delle condizioni socio-culturali, come sostenevano i seguaci sessantottini di Lang, Basaglia e dell’antipsichiatria, produsse ferite e traumi giganteschi.

Di Basaglia va riconosciuta la buona fede, il fervore ideale, ma non possono essere cancellati i paurosi danni della legge 180 che ancora perdurano. A loro vorrei opporre il sano realismo di quel parroco prima accennato. Si chiamava don Pasquale Uva, veniva dal mio paese e lo chiamavano Zì’ Terrone perché proveniva dalla terra e si definiva «operaio nella vigna del Signore». Mentre i meridionalisti teorizzavano il riscatto del sud negando radici, caratteri e tradizioni meridionali, quel cocciuto prete costruì dal nulla, pietra su pietra, tra collette, anticamere e testarde perorazioni, un grandioso ricovero per i malati di mente del sud. Il suo modello fu Cottolengo. Prima di condannare l’esistenza nefasta dei manicomi dovete pensare cos’era l’Italia e in particolare il sud prima che esistessero quelle strutture ospedaliere. I dementi vagavano per le strade, ridotti alla fame e agli stracci, derisi e aggrediti o a loro volta aggressivi e pericolosi. Ci vollero benemeriti come don Uva, e le suore che lo accompagnarono, le ancelle della divina provvidenza, a raccoglierli dalle strade e a dar loro cure, cibi, assistenza. Fu un progresso il manicomio rispetto alla situazione precedente. Fu un atto di pietà e di umanità, altro che segregazione. Ma don Uva capì quanta sofferenza covava dietro quelle grate e sapeva anche l’aspetto atroce dei manicomi. Così, dopo trent’anni di gestione degli ospedali psichiatrici, don Uva pensò nei primi anni Cinquanta ad una bonifica degli ospedali psichiatrici e progettò i villaggi postmanicomiali, una struttura aperta che immettesse gradualmente i malati nel mondo libero. Progettò così una città per i malati di mente che avesse al suo interno azienda agricola, pascoli, stalle, orti, vigneti e frutteti, laboratori, molini e pastifici, cinema-teatro e caffè, circoli e sale di bigliardi, impianti sportivi. Pensò cioè di accompagnare gradualmente i malati verso la guarigione e l’integrazione attraverso una struttura fondata sull’ergoterapia e la ludoterapia, il lavoro e il gioco.  (SEGUE)

martedì 2 febbraio 2010

Ecumenismo




Per il Patriarca russo Kirill “su molte sfide attuali molto vicine le posizioni di cattolici e ortodossi”



CITTA’ DEL VATICANO - Nelle sfide che la contemporaneita' pone ai movimenti cristiani, il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kiril, ritiene la Chiesa cattolica, a differenza di molte confessioni protestanti, vicina alle posizioni dell'ortodossia russa. "Aggressivita' secolarizzatrici, globalizzazione, erosione della morale tradizionale", su questi temi le posizioni di Benedetto XVI "coincidono con quelle degli ortodossi", ha infatti sottolineato Kirill. Il leader spirituale di Mosca in una riunione dei dignitari ortodossi nella capitale russa ha messo l'accento sui "crescenti dissidi presenti nelle fila del protestantesimo". Secondo il Patriarca alla base di queste contraddizioni vi sono le "tendenze liberali presenti nel mondo protestante". Riferendosi all'elezione di Margot Kessman alla testa della Chiesa episcopale tedesca, Kirill ha ribadito che l'ortodossia russa ritiene i protestanti non in grado di "portare i valori cristiani dentro la societa' secolarizzata", poiche' si sarebbero "adeguati agli standard liberali". Nel dialogo col protestantesimo l'ortodossia cerchera' di "superare le differenze fondamentali", ma se cio' non sara' possibile, la collaborazione andra' cercata in nome della "pace, la giustizia" e per la "risoluzione dei problemi che richiedono gli sforzi comuni del genere umano".


PETRUS (quotidiano online)

Le notizie di avvicinamento fra i Cristiani mi interessano sempre molto. Non credo sia un'utopia che un giorno tutti i Cristiani siano uniti. UT UNUM SINT.


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