mercoledì 29 settembre 2010

Buon gusto




Ogni mese il nostro Parroco compila un foglio che ricorda il bollettino parrocchiale di un tempo. Oltre alle comunicazioni che interessano la comunità, con arguzia parla di cose serie.
Voglio condividere con chi mi legge un trafiletto del mese di Settembre. 


Una volta ai poligami e ai conviventi non si concedevano i funerali religiosi. Oggi la Chiesa ha allentato la severità in fatto di funerali ai coniugi raffazzonati. Se dovesse valere ancora la severità di un tempo, di funerali in chiesa se ne farebbero pochi.
Irrita però che in taluni manifesti funebri
, recanti ora del rosario e della Messa esequiale e decorati da immagini sacre, si legga che il primo ad annunciare il decesso sia il compagno o la compagna, qualificato esattamente come tale. Esempio: "E' deceduto il signor Divorziàno De Poligamis. Lo annuncia afflitta la compagna Concubiàna Risposati".
Sarebbe di buon gusto che almeno sparisse la qualifica di compagno/a, lasciando soltanto il nome insospettabile.
Se sparisse del tutto il nome della persona in questione, pur lasciandole ovviamente piena facoltà di intervenire al funerale, meglio ancora.
Buon gusto vuol dire che l'annuncio sia dato dai congiunti, quelli veri, non da quelli raccattati smantellando matrimoni.
Specificarsi come "compagno/a" su un manifesto religiosamente orientato, dà l' impressione di sfida alla Chiesa con l' intento più o meno avvertito di farla fessa.


sabato 25 settembre 2010

racconta Maria Cartabia




mi piace questa foto: ci sono ancora le Torri Gemelle.



Arrivare a vivere – come è capitato a me e alla mia famiglia lo scorso anno – nel cuore di New York è come entrare in quel mondo moderno dopo Cristo, senza Cristo, descritto da Péguy.
Certo, tutto l’Occidente rientra in quella descrizione, ma mentre l’Europa sembra ancora terreno di battaglia per lo smantellamento della civiltà cristiana che ancora resiste, la cosa che più colpisce a New York è che il progetto sembra compiuto.
Come dice Péguy, ci sono riusciti. Sarei tentata di aggiungere che ci sono riusciti benissimo.

Vorrei partire da questo «ci sono riusciti» perché dal punto di vista dell’esperienza è proprio questa la prima impressione che si ha arrivando lì: si è abbagliati dalla riuscita.
Ci sono riusciti: New York è una città meravigliosa, è bella la natura, è meravigliosa l’opera dell’uomo, tutto funziona, e inspiegabilmente riescono a convivere milioni di persone di tutte le razze che parlano più di sessanta lingue diverse – e qui devo confessare che io stessa, con tutta la mia famiglia, sono subito stata conquistata –.

Forse il segreto del successo – almeno così è parso ai miei occhi di ospite, abitante per un anno – è che ogni aspetto della vita è trattato con grandissima professionalità: il “dio lavoro” dà i suoi frutti. Tutto questo ha grandi vantaggi: si vive bene, si perde meno tempo per l’organizzazione della vita, tutto è molto curato, ecc. Con un piccolo particolare, che vorrei descrivere con questo episodio tratto dalla mia vita universitaria.

Il livello delle università americane è eccellente e inevitabilmente, soprattutto nei primi mesi, ero entusiasta di tutto. Mi colpiva soprattutto che ci fosse tanto spazio e attenzione alla dimensione comunitaria della vita tra docenti e con gli studenti – da noi quasi del tutto assente –.
La New York University dove lavoravo mi sembrava un paradiso: colleghi di altissimo livello, grande cordialità e possibilità di condivisione del lavoro, uffici meravigliosi, con tanto di opere d’arte alle pareti e musica classica soffusa tutto il giorno.
Eppure, a mano a mano che passava il tempo mi capitava di sentire sempre più spesso i miei colleghi lamentare una certa stanchezza: «Ho nostalgia di casa – mi dicevano –, qui mi sento solo e miserabile». Miserabile. Impressionante: nemmeno New York basta al cuore dell’uomo.

Dopo Gesù, senza Gesù: l’altro fatto che subito si nota arrivando a Manhattan è la netta separazione tra la vita pubblica e professionale e la dimensione religiosa.
E su questo punto occorre intendersi, perché la realtà americana è complessa. In vero, gli americani sono molto religiosi, probabilmente molto più religiosi di noi europei, e ci sono anche tantissimi “cattolici praticanti”.
Tra i tanti segni di questo fatto, mi ha sempre colpito il fatto che la messa degli studenti della mia università alla domenica era affollata da svariate centinaia di ragazzi.

Però, di tutti quei ragazzi non si vedeva traccia durante la normale vita accademica.
 Anche se l’istituzione è molto attenta e ben disposta verso le associazioni di studenti, specialmente quelle a base religiosa, in un intero anno non ho visto nessuna presenza di tutte quelle centinaia di ragazzi cattolici che affollavano la messa della domenica, non un giudizio pubblico, non un segno di riconoscibilità.
Senza Cristo, allora, non significa che manchi la dimensione religiosa nella vita delle persone, ma, per quel che ho potuto vedere, si tratta di una religiosità invisibile e inincidente.

Un giorno, leggendo per il mio lavoro, mi sono imbattuta in questa descrizione di Ernest Fortin che ho trovato particolarmente pertinente rispetto alla situazione: «Nietzsche ci ha avvertito da tempo che la morte di Dio è perfettamente compatibile con una “religiosità borghese”.
Egli non ha pensato neppure per un momento che la religione fosse finita. Ciò che egli metteva in discussione è la capacità della religione di muovere la persona e aprire la sua mente.
La religione è divenuta un prodotto di consumo, una forma di intrattenimento tra le altre, una fonte di conforto per i deboli o una stazione di servizi emotivi, destinata ad appagare alcuni bisogni irrazionali che essa è in grado soddisfare meglio di ogni altra cosa.

Per quanto possa suonare unilaterale, la diagnosi di Nietzsche colpiva nel segno» Questa descrizione diceva chiaramente quello che era sotto i miei occhi e cioè che una società senza Cristo è essenzialmente una società che, senza che ce ne accorgiamo, atrofizza il nostro rapporto con Cristo, lo rende muto e inincidente sulla nostra vita personale e su quella sociale, lo riduce a dei momenti di religiosità emotivi o sentimentali, o, peggio, a degli schemi comportamentali.

Diceva Solženicyn nel suo famoso discorso ad Harvard nel 1978: nei paesi totalitari si soffre una assoluta mancanza di libertà; nei paesi occidentali, invece, la libertà c’è ed è spinta al massimo, ma se si guarda attentamente si scopre che essa esprime sempre «degli orientamenti uniformi, nella stessa direzione (quella del vento del secolo), dei giudizi mantenuti entro determinati limiti accettati da tutti, e forse anche degli interessi corporativi comuni, e tutto ciò ha per risultato non la concorrenza ma una certa unificazione».
In occidente la società è senza Cristo non tanto per una mancanza di libertà formale, giuridica o politica, ma per uno strano conformismo che ci troviamo addosso, per cui la vita è governata dalla mentalità dominante dell’ambiente dove ci troviamo.



 



dal Blog di Nonsonogus  (vedi)

Questo articolo mi ha colpita. Non sono mai stata negli Stati Uniti. Mi piacerebbe sentire il vostro parere, se ne avete il tempo e il desiderio. Grazie.

venerdì 24 settembre 2010

Luciana Bianchi Cavallari


Già altre volte vi ho presentato questa brava scrittrice che parla del suo lago (Como). Sono sempre più ammirata per la immediatezza dei suoi versi che sono un inno alla natura e una carezza per il cuore.
Vi propongo una delle sue ultime poesie.



Settembre...






Dismessi gli abiti d’estate,
s’abbiglia il cielo settembrino
in nuvolaglie e nebbie cupe,
fluttuanti e basse all’orizzonte. 

Da calma, repentina si fa brusca
e cambia la corrente: d’impeto
gioca con i suoi venti il Lario,
scompigliando l’acque e l’onda.

Va bussando incipiente, l'autunno:
la pioggia insistente, l’accompagna.

 




© Luciana  

mercoledì 22 settembre 2010

Perdono





l «testamento» di Padovese:
dall’odio nasca il perdono



 



Una lettera scritta due mesi prima di morire. E che alla luce di quanto poi è successo sembra quasi un testamento spirituale. «La fecondità del perdono di fronte alla sterile alternativa dell’odio e della vendetta». La civiltà dell’amore al posto della legge del taglione. Monsignor Luigi Padovese, presidente della Conferenza episcopale turca e vicario apostolico d’Anatolia, assassinato il 3 giugno scorso a Iskenderun, non poteva immaginare che le parole scritte a suor Chiara Laura Serboli, abbadessa del Monastero Santa Chiara di Camerino, sarebbero diventate quasi una testimonianzaante litteram del suo sacrificio, resa ancora più vera dal tragico evento che avrebbe reciso la sua vita terrena. 



Ma così è. E adesso che la lettera è stata pubblicata integralmente nella rivista delle Clarisse e ripresa dall’agenzia Sir, ci si può rendere conto della profondità di fede e della limpidezza d’animo di questo pastore che ha offerto la sua vita per restare fedele alla missione che la Chiesa gli aveva affidato. SEGUE

venerdì 17 settembre 2010

da: L' imitazione di Cristo



 



 


(Questo piccolo libro ha costituito per secoli un preciso punti di riferimento per la spiritualità cristiana, tanto che si può considerare "il libro più letto dopo il Vangelo, meditato nei monasteri, letto nella vita religiosa e sacerdotale, tenuto come manuale di formazione cristiana robusta per tante generazioni di laici, di cristiani nel mondo". L'Imitazione di Cristo, il cui autore resta sconosciuto, benché possa essere collocato in ambiente monastico attorno ai secoli XIII-XIV, costituisce un semplice e concreto tracciato di vita ascetica. La tensione spirituale che lo anima, ne fa un testo fondamentale nel tracciare una via alla ricerca di Dio, all'abbandono dell'"uomo vecchio" per costruire l'"uomo nuovo", per radicare interiormente una profonda spiritualità personale).   ALTRE NOTIZIE

RICONOSCERE LA PROPRIA DEBOLEZZA E LA MISERIA DI QUESTA NOSTRA VITA

"Confesserò contro di me il mio peccato" (Sal 31,5); a te, o Signore, confesserò la mia debolezza. Spesso basta una cosa da nulla per abbattermi e rattristarmi: mi propongo di comportarmi da uomo forte, ma, al sopraggiungere di una piccola tentazione, mi trovo in grande difficoltà. Basta una cosa assolutamente da nulla perché me ne venga una grave tentazione: mentre, fino a che non l'avverto, mi sento abbastanza sicuro, poi, a un lieve spirare di vento, mi trovo quasi sopraffatto. "Guarda dunque, Signore, alla mia miseria" (Sal 14,18) e alla mia fragilità, che tu ben conosci per ogni suo aspetto; abbi pietà di me; "tirami fuori dal fango, così che io non vi rimanga confitto" (Sal 68,15), giacendo a terra per sempre. Quello che mi risospinge indietro e mi fa arrossire dinanzi a te, è appunto questa mia instabilità e questa mia debolezza nel resistere alle tentazioni. Che, pur quando ad esse non si acconsenta del tutto, già molto mi disturba la persecuzione loro; e assai mi affligge vivere continuamente così, in lotta. La mia debolezza mi appare in modo chiaro dal fatto che proprio i pensieri che dovrei avere sempre in orrore sono molto più facili a piombare su di me che ad andarsene. Voglia il Cielo, o potentissimo Dio di Israele, che, nel tuo grande amore per le anime di coloro che hanno fede in te, tu abbia a guardare alla fatica e alla sofferenza del tuo servo; che tu l'assista in ogni cosa a cui si accinge. Fammi forte della divina fortezza, affinché non abbia a prevalere in me l'uomo vecchio: questa misera carne non ancora pienamente sottomessa allo spirito, contro la quale bisogna combattere, finché si vive in questa miserabile vita.
libro terzo   capitolo XX

mercoledì 8 settembre 2010

Natività di Maria Vergine



foto ricostruttiva di FAVA MINOR Marco


Al mio paese c'è un Santuario dedicato alla Madonna della Fontana la cui festa ricorre l' 8 Settembre e che richiama molti fedeli della zona. All' origine del nome vi è la presenza di acqua che sgorga copiosa da una fontana di pietra che è una copia dell'originale trafugata anni fa.



Il Santuario sorge in un luogo montano alquanto isolato dove nel quattrocento ad una ragazza muta che portava le pecore al pascolo apparve la Vergine che le donò la parola. Su di un masso di pietra (ora all' interno della chiesa) venne dipinto l' affresco della foto.

E' un luogo molto bello, in mezzo ai boschi, cui si accede con una salita percorribile anche in auto e che invita chi lo raggiunge alla preghiera con i suoi silenzi e la voce dell' acqua.

mercoledì 1 settembre 2010

Padri della Chiesa





A che ora si deve pregare?

Tutti i fedeli, uomini e donne, al mattino, appena desti, prima di fare qualsiasi cosa, si lavino le mani e preghino Dio: poi vadano al loro lavoro. Alla terza ora, se sei in casa, prega e loda Dio; se sei altrove, prega Dio in cuor tuo. A tale ora, difatti, Cristo fu inchiodato sulla croce.

Ugualmente prega alla sesta ora, perché, quando Cristo fu inchiodato al legno della croce, il giorno fu interrotto e si ebbe una grande oscurità. Pertanto, a quell’ora si faccia una vigorosa preghiera, imitando la voce di Colui che pregò e ricoprì di tenebre l’intero creato per i Giudei increduli.

Alla nona ora si preghi e lodi a lungo Dio, imitando il modo in cui l’anima dei giusti loda Dio, che è verità e che si è ricordato dei suoi santi e ha inviato il suo Verbo a illuminarli. A quell’ora il Cristo fu colpito nel costato ed effuse acqua e sangue, e rischiarò il resto del giorno fino alla sera. 

Così, quando cominciò a dormire dando inizio a un altro giorno, diede un’immagine della risurrezione.
Prega anche prima di andare a letto.





Ps. Ippolito, La tradizione apostolica 41

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