sabato 25 giugno 2011

Il martirio




Andrea Mantegna - San Giovanni Battista
 


Da bambina amavo rovistare nel solaio di una mia zia paterna che, autodidatta come poteva esserlo allora, leggeva e scriveva molto. In una cassa c'erano parecchi libri che, alla sua morte, purtroppo non riuscii a trovare.
Questa cassa era la mia meta quotidiana e ricordo di aver letto libri molto interessanti. Non ricordo più i titoli, ma non dimentico i due volumi che più mi colpirono : "PICCOLI MARTIRI". 
Ripensando a quei racconti, che erano illustrati con disegni, mi domando molte volte se fossero storie vere o meno. A quell'età non mi posi il problema, ma la mia mente di bambina ne fu grandemente colpita. Mi chiedevo come avessero potuto quei bambini affrontare le sofferenze che vi erano descritte.
Il martirio è per me un grande mistero e ne ho sempre avuto timore, non ritenendomi capace di affrontarlo se mi fosse successo. 
Oggi ho letto "Il mattutino" di Gianfranco Ravasi che qui riporto e ancora avverto il mistero e il timore. 
Vi sono però nel testo due righe che illuminano.


LA TESTA SUL VASSOIO



Quando il testimone della verità arriva alla morte, dice a Dio: «Grazie anche per le sofferenze che mi hai dato. Grazie a te, infinito amore!». E Dio gli risponde: «Grazie a te, amico mio, per l'uso che ho potuto fare di te!». Anche chi non ha molta dimestichezza col greco sa che in quella lingua il «testimone» è chiamato «martire». E se vogliamo scegliere una raffigurazione simbolica esemplare che ben s'adatta alla festa che il calendario odierno propone, potremmo evocare le parole di quel grande -testimone- che fu don Primo Mazzolari: la testa di Giovanni Battista è ancor più eloquente quando è posta sul vassoio di Salomè ed Erodiade rispetto a quando era sul collo del Precursore. La voce dei martiri non tace neanche dopo la loro morte. 



Noi ora, con la nota sopra desunta dal Diario del filosofo danese dell'Ottocento, Soeren Kierkegaard, facciamo un passo oltre quella fine più o meno drammatica e pensiamo all'incontro tra il martire-testimone e il suo Signore. Il primo confessa a Dio che quando si agisce per amore non pesa neppure dare la vita: «se un uomo non ha scoperto qualcosa per cui è disposto a morire, non è neppure degno di vivere», diceva un altro martire, Martin Luther King. In quei momenti oscuri vibra nella fragilità umana la grazia divina con la sua efficacia potente. 



Il Signore, invece, ringrazia il suo fedele perché egli è stato quasi la sua voce e la sua stessa mano visibile davanti agli uomini. Il martire offre la sua libertà e la sua stessa persona all'agire di Dio. In questo si rivela la virtù teologale della fortezza che è grazia donata e impegno personale, proprio come accade nel primo martire cristiano Stefano, «pieno di grazia e di fortezza» (Atti 6,8). Allora, come dice un suggestivo proverbio indiano, «la lama della spada che colpisce il martire profuma di balsamo».

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