martedì 19 ottobre 2010

La curiosità morbosa che esorcizza il male.




di Marcello Veneziani

Ma perché la gente vive con morboso accanimento la brutta storia di Sara e della famiglia Misseri? Sbiadiscono perfino le guerre dei giudici, le inchieste sul premier, i dossieraggi, al cospetto della tragedia di Avetrana. Sarebbe facile e sacrosanto imbastire un bel processo accusatorio alla tv del dolore, agli sciacalli del video, gli esibizionisti dell’orrore, i grilli parlanti e le iene piangenti.
Aggiungete poi la vergogna del pellegrinaggio di domenica scorsa alla casa dei mostri, una specie di luna park degli orrori. Sarebbe poi facile notare che tra tanti delitti feroci, ce n’è sempre uno che diventa racconto di massa, saga (...)

(...) televisivo-popolare, tormentone mediatico. La Franzoni o la Cesaroni, Erika o Amanda, dimostrano che è l’attenzione mediatica, l’esposizione in tv a rendere il caso esemplare e proverbiale. E si creano cittadelle dell’orrore, ieri Cogne oggi Avetrana, a dimostrazione che anche la ferocia o la follia non hanno connotati etnici o geografici.

Io invece vorrei proporvi un’altra riflessione.
L’umanità ha bisogno di spiegare il male, di confrontarsi con il dolore più atroce, di superare la soglia per vedere dove si nasconde l’orrore. Ai colti basta leggere Seneca o Sant’Agostino, interrogarsi sul concetto del male e del dolore. Ma la gente comune coglie il male e il dolore attraverso gli esempi, i casi concreti, la vita di ogni giorno. Anche Gesù non parlava per concetti ma per parabole, narrava esempi, affrontava singoli casi di malattia e di guarigione, di morte e di resurrezione, per farsi capire.
L’uomo ha bisogno di conoscere storie del male, la grande letteratura è concentrata sul male e sul dolore, a cominciare dalla tragedia greca.
Potete maledire finché volete la tv e i giornali che vi parlano del male e delle disgrazie: ma un aereo che cade fa notizia, diecimila aerei che volano no; Sara che esce con sua cugina non fa notizia, Sara uccisa e stuprata dai suoi famigliari sì. Trentatré minatori che tornano la sera a casa non fanno notizia, se restano sottoterra per un’infinità di giorni sì. 


Continua

6 commenti:


  1. Il voyeurismo del ciufolo, ecco cos'è.
    Io sto malissimo e non credo farà notizia..

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  2. Io ho capito solo una cosa: a quindici anni bisogna frequentare gli amici di quindici, sedici anni. Otto anni a questa età sono tanti, troppi. Un'amicizia così stretta, pur se tra cugine, non va bene. Potrà andare bene quando l'una avrà venti anni e l'altra 28. Unaragazzina di quindici deve frequentare ragazzine della sua età, avere una cotta per un sedicenne, uscire a piedi o in bicicletta. Non è normale che una ragazzina e una donna si contendano un giovanotto di 28 anni, non è normale che una ragazzina vada al mare in macchina con due amiche adulte...Tutto era sbagliato fin dall'inizio!

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  3. KATHE: non è nemmeno normale, almeno per me, che trascorra più tempo a casa degli zii che in casa propria. Il padre era via, il fratello anche: le mancava la famiglia, pur senza nulla togliere alla madre che si sarà sempre accollata tutte le responsabilità ed ora sta vivendo una tragedia. 

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  4. JESSICA: no, i nostri guai non fanno notizia. benevenuta

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  5. Ciò che impedisce di realizzare il passaggio dall'apparenza all'appartenenza è la paura.
    Essa è inevitabile in ciascuno di noi, poiché ciascuno di noi viene dal nulla.
    La paura si traduce nell'esaltazione delle piccolezze e delle meschinità.
    La meschinità del possesso, dell'appropriazione dell'ira, della pigrizia.
    Le cose meschine hanno un fascino.
    Il potere esalta questa meschinità e la rende contenuto della sua cultura.
    L'esaltazione che il mondo fa del meschino finisce sempre in catastrofe.
    O personale ( la distruzione dell'io) o collettiva.

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  6. DOLCE: pensando alla brutta fine della piccola Sarah mi viene da piangere. Mi immedesimo in sua madre. Ho perso mio figlio in un incidente ed è stato terribile, ma così deve essere molto peggio. Dio la protegga.

    KJYA: il commento a Dolce vale anche per te. Un abbraccio.

    GUS: paura e meschinità: grandi mali che ci affliggono. Ciao Gus.

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